venerdì 18 novembre 2011

Sapete... Sapete...?

Nella cultura cinese il significato del divenire è molto importante. Loro lo immaginano spesso a cicli. Non c'è un ciclo negativo e uno positivo,in ogni ciclo ci sono elementi in certi ambiti positivi e in altri no. E così via.
Mi è sempre sembrato molto realista.
La Rossa studia i cicli kia tze,una parte dell'astrologia che studia i mutamenti. O almeno così l'ho capita io.
Il mio ciclo kia tze,salvo smentita,è capra-scimmia-tigre-drago.
E quando me l'ha detto ho pensato fosse una figata,ma la Rossa la sa lunga e non ha perso tempo per dire quelle che sono le debolezze o le pecche di questi animali. Che i pregi me li immagino da solo,ottimista che sono!
Per cui... che brontolo? Si. Che sono sempre insoddisfatto e che mi lamento? Che sono diffidente? Imprevedibile e intemperante? Si,si,si... sempre si.
Non penso questo fermo davanti al portone mentre aspetto che mi aprano.
È una cena a cui sono stato invitato,un circolo bene. Devo intervenire durante la cena e dare la mia opinione al proposito del mio lavoro.
Attraverso un chiostro bellissimo,arrivo nel refettorio che è appartenuto a una scuola femminile e mi rendo conto di essere l'attrazione della serata.
Vengo presentato a tutte le dame,alcune un po' troppo tricot per i miei gusti,ma è uno dei rischi della città di provincia.
A me di dare lezione nel luogo in cui si dava dottrina proprio non va,così mi immagino una serata più conviviale,ci gioco con quelle signore per bene e anche i loro mariti con l'orologio sul polsino,alla fine della cena si sono lasciati andare e mi salutano con salde strette di mano.
Poi la giacca di velluto e le Clark mi portano in stazione,ho il treno per tornare a casa. Alla mia Torino,che è venuta su trasandata come una principessa, e adesso si lascia guardare tutta la notte.
E mentre cammino verso casa e la guardo,penso alle piccole e grandi confidenze che mi hanno fatto quegli sconosciuti,ai consigli che mi hanno chiesto.
Ma c'è che sto bene come non stavo da anni,c'è che mi sento forte,e anche se la capra dubita,la scimmia è dispettosa,la tigre non si fida e il drago è incompreso c'è che rido e continuo a camminare.
Che le cose vanno bene quando si sa dove dove stare.

domenica 13 novembre 2011

1.30 a.m.

È l'una e mezza di notte quando arrivo a casa di mia madre.
Sono arrivato di corsa perché ha un forte mal di testa e sforzi di vomito,quando le misuro la pressione è 270 su 140. Chiamo l'ambulanza.
È l'una e mezza di notte,tutto è tranquillo anche in casa. Io sono tranquillo,è solo un episodio ipertensivo.
Marco tre mesi fa le ha fatto la coronarografia,è tutto a posto. E di lui mi fido.
La caricano e partono.
Io rientro per chiudere la casa e vedo la sua vita negli oggetti che sono stati gli stessi miei. Prendo un cambio,calmo il cane,spengo le luci e parto.
In auto mi ricordo quando uscirono a dire a mio padre che sua mamma era morta. Ero li con lui. Quando ha capito ha esalato un respiro profondo,lungo,un respiro che faceva male a sentirlo.
In auto mi preparo a sentire questa notizia,lascio diffondere questo inchiostro dentro di me. Sono tranquillo.
Percorro il corridoio per arrivare all'ambulatorio di medicina del pronto soccorso,accelero sempre di più e arrivo quasi correndo.
Quando entro sono in tre attorno a lei.
Stanno finendo con l'elettrocardiogramma,un altro sta preparando per i prelievi.
Il medico mi riconosce,si chiama Elena,è un'amica di Marco. Ci vediamo solo a certe cene ma sono contento che sia li.
-è la tua mamma?
-si.
Io e Elena ci avviciniamo alla scrivania,mentre quello di prima attacca la febo.
Rispondo alle domande,non parliamo di altro. È un ottimo ospedale.
Mentre la portano fuori mi rendo conto che non ero tranquillo.
Elena mi chiede se sto bene,si sto bene. Ci parleremo dopo.
Dopo una mezz'oretta mia madre si addormenta sul lettino,sta passando il dolore e il mio inchiostro sta svanendo.

lunedì 18 aprile 2011

-i miracoli sono realtà con delle parti mancanti




Verde,prima,seconda... Una macchina ha le luci della retro accese,ho trovato parcheggio.
Per avere accesso alla piscina devo sfiorare con il mio braccialetto elettronico il sensore e il tornello si sblocca.
Con lo stesso braccialetto sfioro la chiusura dell'armadietto e la porta si apre o si chiude. Lo capisco dal cicalino diverso.
Ci sono segnali per tutto,anche quando decidiamo di ignorarli.
I miei seguono la teoria dei frattali,un elemento geometrico divisibile in parti e ognuna di esse è la copia ridotta del tutto,compaiono spesso nella teoria del caos e nei sistemi dinamici,i miei preferiti.
Sono forme estremamente complesse,una conchiglia per esempio,o un'onda del mare,le galassie. O i segnali.
Per i passionari delle filosofie ermetiche può essere il concetto del microcosmo e del macrocosmo,gli accessi all'inconscio collettivo,insight, etc etc.
Per me che sono meno spirituale si tratta di aguzzare un po' la vista e riuscire a vedere la riproduzione in miniatura. Un po' come quando da piccolo giocavo con i pacchetti di patatine per poter scegliere la sorpresa migliore. Che poi sorpresa non era più.
Nell'ultima settimana sono stato più attento del solito,e molti erano segnali.
Ho ripreso il mio pacchetto di patatine in mano e ho iniziato a maneggiarlo con cura.
Ci ripenso mentre entro in vasca. Mi siedo sul bordo e mi lancio dentro,nell'acqua più profonda. Abbandono il mio corpo,so che tornerà a galla e assaporo la risalita. È lenta,silenziosa,in una nuova dimensione. Per qualche attimo mi potrò ancora concedere di giocare,posso solo rallentare la mia corsa e guardare quello che sto lasciando e che rimarrà sotto,mi sosterrà.
È come trovare la sorpresa migliore delle patatine. È come riconoscere con meraviglia tutte queste piccole cose che mi stanno succedendo. È come sapere che la scelta già stata fatta,ed è quella giusta. Risalire.

mercoledì 13 aprile 2011

- ne parliamo a cena

Due sono le cose che sicuramente ci trasciniamo dietro dal medioevo,l'arte di forgiare il vetro e la grappa.
Qualche nostro bis bis bis nonno,appassionato di Alchimia,ebbe l'idea geniale di estrarre l'elixir dalle raspe dell'uva piuttosto che buttarle subito nel letame.
Mentre un altro trisavolo,mastro vetraio, si divertì a confezionare storte ed alambicchi.
Perché la grappa,così come il vino,è un prodotto alchemico. Separa il vero dal falso.
Io e il CaroMarco,il cugino,siamo alla Macelleria. Un ristorante carino,ci arrivo a piedi e ammetto che ha anche una buona selezione di vini e grappe.
Lo ha scelto lui.
Stessa età,diverso cognome,stesso liceo,poi strade diverse ma sempre contenti di rivederci.
Parla tanto il CaroMarco,e ne ha ben donde...adesso è un pilota con due matrimoni alle spalle,tre figli da tre donne diverse e il suo lavoro. Quel che si dice un uomo realizzato.
Questa sera son contento di stare insieme a lui,ma sento odore di zolfo. E non è quello filosofale.
Tutto si fa chiaro mentre scelgo la mia grappa. È la CaraMara,la madre,una greca brutta e non aggiungo altro.
Stronza e vigliacca come un ministro degli esteri a Tunisi.
Un'arpia che quando veniva a casa da noi si portava il libretto del figlio per confrontare le medie. Quando erano più alte le mie erano dolori,e col tempo è peggiorata.
Di lei,sono sicuro,nonno Ettore elegantissimo,avrebbe detto le più geniali oscenità.
Adesso non approva una relazione che il CaroMarco ha da quasi un anno con una ragazza,e lui ci sta male. Troppo poco per la CaraMara.
Ma siamo alla fine della cena,e ritorniamo adolescenti giocando con le sciarade e la goliardia.
Torniamo a casa tardi,mi dice che sta pensando se ha ragione la madre.
Rispondo che è la prima volta da che lo conosco che non è incazzato con nessuno. Mi sorride.
L'elixir ha separato e riunito.
- “Fulvio... “
- No,mi avvalgo della facoltà di non comprendere questa sera. Ti chiamo domani.

sabato 12 marzo 2011

notizie per l'aldilà

Il mio lavoro si basa sulla possibilità di acquisire informazioni. Poi di fornire una soluzione adeguata. Una risposta.
Per questo motivo sono spesso collegato,per attingere fonti di informazione e per mantenere i contatti.
Leggo i quotidiani,leggo libri,consulto più volte le mail al giorno.
Con certi amici mantengo una corrispondenza regolare ma non fitta,sono persone che vivono lontano da me,ma che in qualche modo ho piacere di sentire e continuare a sentire.
Tra questi c'è Gojko,adesso è un giornalista serbo. Che in certi posti è ancora importante far sapere quello che succede. E beve molto più di me.
Ci siamo conosciuti quando pensavo che allestire cucine da campo e dar da mangiare a uomini e donne disperate poteva avere un senso.
Lui faceva contrabbando e io sotto Natale con altri quattro illusi eravamo andati a Belgrado. Per dare una mano,così pensavamo.
La sera andavamo tutti in un bar,a bere birra o rakjia,dipendeva cosa c'èra.
Alle volte c'era solo uzo,e a me l'anice proprio non piace. Ma la guerra fa paura. Anche quando sai che torni a casa dopo pochi giorni.
Rimanevamo al tavolo a bere e ridere con gli occhi che bruciavano per il fumo e il vento fuori.
Fu li che lo incontrai,vendeva Rolex falsi agli italiani ricchi e sigarette ai serbi poveri. Ci scroccava da bere,poi se ne andava senza salutare.
Ma andava bene così.
E poi c'era anche Ana,una ragazzina di quindici anni che aveva grandi progetti e le piaceva stare tra i grandi.
Ana aveva un fratello più grande che la teneva sempre sott'occhio,ma con gli italiani la faceva restare.
Voleva bere anche lei e chiedeva sempre in regalo qualcosa,oppure cercava di rubacchiare. Per venti giorni è stata la nostra mascotte e passava da dietro la cucina per farsi dare di più da mangiare. Per la madre,diceva,ma non lo abbiamo mai saputo.
Due giorni prima della nostra partenza Ana fu colpita all'anca da una pallottola e prima di partire andai da lei per salutarla e regalarle i miei rayban. Le piacevano.
Mi disse: tornerai a Belgrado,tornerai per me... Le piaceva fare la donna fatale,era una bambina che aveva visto troppe cose che i bambini non dovrebbero vedere.
Ho ripensato a queste cose ieri sera,aprendo la mail di Gojko,che sta bene e ha un nuovo incarico.
Al fondo della mail una sola frase: Ana è morta.
Ana è morta marcita dal cancro,non aveva ancora trent'anni.
Avevi ragione Ana,tornerò a Belgrado per te,tornerò per sputare sulla terra che ti ricopre.
Intanto questa è per te. Che di risposte non te ne so dare.

martedì 8 marzo 2011

ancora pochi minuti...

Che bella giornata di sole!
Dopo due giorni di andirivieni per la stazione di Brescia, e non è una bella zona, credetemi.
L'autobus, la tabaccaia fighetta e cafona vicino all'albergo, il bar coi bartender marpioni,le lezioni e le giustificazioni, i giudizi e le lamentele,questo posto sulla panchina proprio me lo merito.
Nella panchina a fianco una donna cinese, sporca, mastica e sputa qualcosa e una signora che passa la guarda come si guarda un cane che caga.
Degli arabi loschi non si sa bene cosa facciano.
Un inglese che puzza di alcol mi chiede della moneta,gliela do. Non vorrei fargli fare troppa fatica, che la discesa nell'incubo è troppo lenta se sei lucido.
Ma adesso mi godo questa attesa, mi guardo in giro e penso che forse aveva ragione Diane Arbus quando diceva che i freak sono i veri aristocratici della vita.
Io aspetto Bruno,aspetto la mia porzione di bontà.
Nessuno si siede vicino a me,nessuno mi parla. Respiro.
So per certo che hanno cucinato tutta la mattina e mi riempiranno di cibo.
Io lo accetto e mangio tutto perché è il loro modo di dimostrarmi affetto.
Lo accetto come accetto il caffè a letto al mattino,anche se brucia.
Accetto e ringrazio.
Bruno quando non mi vede per qualche tempo è in imbarazzo e fa battute cretine. Poi lo abbraccio e si ammorbidisce. E finalmente sta zitto.
Sa come prendermi lui,so come prenderlo.

Seduto ad aspettare non sono solo,uno per uno i miei antenati,le persone care,arrivano.
I nonni,i bisnonni,le nonne e le zie,i fratelli mai avuti e perduti. Sono tutti con me e non sono più solo in questa panchina,ci sono loro.
Sono loro che mi dirigono,sempre loro che mi sussurrano all'orecchio le parole per spiegare.
E c'è silenzio in questa confusione di uomini e donne che partono e arrivano.
Qualcuno aspetta,come me.
Ogni tanto ci scambiamo uno sguardo,felici di essere soli.

martedì 8 febbraio 2011

_da dove viene,dove va il nostro Cazio?


Mons. G. è stato uno dei miei padri spirituali,Rettore di un seminario e caro amico di mio nonno,ebbe l'ingrato compito di insegnarmi il greco e il latino.
Per conto mio lo edussi di barzellette “sporche” su Gesù. Ad ogni storiella non mi mancava una strigliata e la frase finale: tu sei un disubbidiente...
Però rideva.
Fu forse in quel periodo che iniziai a trovare divertente essere disubbidiente.
Le lezioni le seguivo con Don Dino ed ero interrogato regolarmente da lui e la mia lingua lunga mi valse la fatica di fare le versioni delle Satire di Orazio. Come ricompensa,se il lavoro era stato diligente, verso sera mi portava nell'erbario e mi parlava delle piante.
E io che pensavo... che culo!
Qualche anno prima che morisse,durante una mia visita mi disse: sono convinto di aver fatto un buon lavoro con te,ma non vorrei che ti dimenticassi di essere buono perché questa sarebbe ipocrisia.
Ho ripensato a lui in questi giorni,a proposito di certe etichette da togliere e non solo dai vestiti. Quelle etichette che ci siamo cuciti addosso.
Quelle etichette che alle volte tirano come i punti di sutura e prudono. Vorrà dire che stanno guarendo?
Forse si,che se la ferita fosse fresca farebbe male. E ogni tanto un po' di male si sente ancora. Ma fa bene,come ridere.
Così continuo a essere un buono disubbidiente e ringrazio per le Satire.

giovedì 3 febbraio 2011

Giù la maschera!

Silvia colleziona maschere,le compra. In Africa,in Oriente,ovunque.
Le compra e le appende. E in effetti mi rendo conto che ha un senso.
Silvia è uno storico dell'arte,i suoi corsi all'università sono molto seguiti e penso sia una ottima insegnante.
È sopravvissuta a un cancro,non ha mai smesso di fare progetti anche quando era gialla per la chemio e anche se triste non l'ho mai vista smettere di sorridere,anche quando è morta la sua gemella.
Quando ho la fortuna di visitare mostre d'arte con lei mi sento onorato,è travolgente. Alla mostra di Dalì sono rimasto senza parole,anzi spesso lei lascia senza parole.
Ha un fidanzato,un pescatore,in Liguria. Quando lo conobbi mi chiesi cosa ci avesse trovato in lui.
Lei è sicuramente affascinante,ancora bella,di ottima famiglia meneghina,una cultura finissima... alla fine non ce l'ho più fatta e gliel'ho chiesto.
La risposta è stata cortese,sorridente e concisa come il suo solito: E' stato il primo uomo in vita mia che è riuscito a guardarmi dentro.
Mi sorride e continua... “mi vede”.
Certo avere la fortuna di incontrare qualcuno che ti guarda dentro senza scrutare è una grossa fortuna. A me spaventa anche un po' ad essere sincero.
Al di la dell'aspetto antropologico dell'uso delle maschere nelle diverse culture mi viene da pensare alla mia.
Come nel romanzo di Mishima è forse vero che non esistiamo se togliamo questo paravento? Che siamo così fragili?
A livello razionale penso di si. Ma ricevere in dono questa intimità non è forse il premio per l'attenzione che si presta per qualcuno che senti vicino,per cui vale la pena rischiare?
E ripenso a Silvia e Stefano che si amano senza pudore.
E penso che Stefano sia più fortunato di me,che per rimanere senza parole gli basta guardarla.

domenica 9 gennaio 2011

non serve correre,basta arrivare in tempo

Paolo,il barista che c'è in fondo alla via, ogni mattina ci delizia con la massima del giorno che scrive su una lavagnetta appoggiata tra le collezioni di Illy caffè.
Non che abbia particolare simpatia per gli aforismi,ma alcuni sono divertenti.
Oggi la lavagnetta è didascalica: NON SERVE CORRERE,BASTA ARRIVARE IN TEMPO. Mi fa sorridere perché è sabato e Torino si muove lenta,soprattutto al mattino.
Paolo e Marina gestiscono il bar,lei è un donnone che sembra uscita da un film di Fellini e lui è magro magro con un sorriso che non ha nulla da invidiare a Fernandel. E in effetti qualcosa di francese ha questo bar,ha quell'atmosfera polverosa dei bar che Simone Signoret gestiva nei film e i clienti sempre un po' di fretta e un po' anonimi con un'eleganza grigia.
È un luogo in cui il tempo è scandito dal gracidare di una rana elettronica di certa produzione cinese al posto della campanella.
Più in la c'è la vineria dove Marco cerca di spiegarmi tutte le qualità delle sue bottiglie,ma dove si può anche comprare il vino sfuso portando una bottiglia.
Ancora pochi passi e ci si trova sul corso,all'angolo sta aprendo una filiale della mia banca. Non che mi serva,mi fa solo sentire la sensazione di essere accolto.
Nel mio quartiere mi ci trovo bene.
È nel centro,ma lontano dalla confusione. Coesistono immigrati extracomunitari ed ex immigrati degli anni 60 che li guardano con sospetto.
Giovani mamme italiane che portano ai giardini anche i figli italiani di extracomunitari e vecchiette che fanno la spesa al mercato rionale anche se a due passi c'è un grosso centro commerciale. Addirittura nominatosi Parco.
E c'è il fornaio che approfitta dei ponti e rimane chiuso anche tre giorni di fila ma che riversa nel negozio ogni ben di Dio. Ha scelto di vivere tranquillo,liberandosi dalle dinamiche del reddito e si chiama come me. Fulvio.
E c'è Donato,il carroziere, con il quale ci siamo sfanculati per qualche tempo e adesso mi tiene il parcheggio quando sa che faccio la notte.
E c'è il sig. R. che è il capo del mio condominio che si preoccupa se mi disturba il mio vicino, che è nigeriano, e probabilmente R. ignora che sia un ricercatore al Politecnico di Torino. Altrimenti lo chiamerebbe come me,dottore,e forse gli terrebbe la porta.
Ripenso a queste cose mentre corro veloce sul SUV di Aurelio e Roberto che mi sta portando a Milano e sento il bisogno di fissarle.
E ripenso alle parole di Laura dell'altra sera e ripenso alle parole di Ermanno di oggi.
E penso che questa è la mia vita,e sono grato che sia così bella e tremenda.
E penso che se va bene,anche io arriverò in tempo.